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Monte Bianco

Il Monte Bianco con a destra il Monte Maudit e il Mont Blanc du Tacul

Il Monte Bianco è una montagna situata nel settore delle Alpi Nord-occidentali, sulla linea spartiacque tra la Valle d’Aosta (Val Veny e Val Ferret in Italia) e l’Alta Savoia (Valle dell’Arve in Francia), nei territori comunali di Courmayeur e Chamonix, all’interno del Massiccio del Monte Bianco, lungo la sezione alpina delle Alpi Graie.

Con i suoi 4808,73 m. di altezza (dato relativo all’ultima misurazione ufficiale, effettuata nel settembre 2015) è la montagna più alta delle Alpi, d’Italia, di Francia e, in generale, dell’Europa centrale. Insieme al Monte Elbrus, nel Caucaso, condivide un posto tra le Sette Sommità del pianeta.

Di natura prevalentemente granitica, irta di guglie e creste, intagliata da profondi valloni nei quali scorrono numerosi ghiacciai, è considerata una montagna di grande richiamo per l’alpinismo internazionale. Dal punto di vista della storiografia alpinistica, la nascita dell’alpinismo coincide con la data della sua prima ascensione: 8 agosto 1786.

Geografia

Le Grand Jorasses nei pressi di Chamonix

Visto dalla parte italiana, il Tetto delle Alpi non è poi così appariscente rispetto alle altre vette che lo circondano. A differenza dell’altro gigante delle Alpi, il Monte Rosa, visibile in tutta la Pianura Padana nord-occidentale fino alle prime alture appenniniche, il Monte Bianco compare solo all’ultimo momento lungo la strada per Courmayeur, nascosto da una miriade di satelliti minori. Guardandolo da Ovest, è invece visibile da molto lontano, dalle alture del Massiccio Centrale francese, da quelle dei Vosgi, dalle alture del Giura, dalla Svizzera, dalla Foresta Nera.

È perennemente innevato e si trova nella parte centrale del Massiccio del Monte Bianco, una catena di monti che si estende per 40 km in lunghezza, dagli 8 ai 15 in larghezza, occupando una superficie di circa 645 km² su territori di tre paesi: Italia, Francia e Svizzera. Se si esclude la Est del Monte Rosa di Macugnaga, la più alta delle Alpi, in questo Massiccio sono presenti alcune tra le pareti più elevate del sistema alpino, quali la Brenva e la Nord delle Grandes Jorasses. Vi sono inoltre raggruppate quaranta cime al di sopra dei 4000 m. slm, con un terzo della superficie a quota non inferiore a 3000 m. slm. L’azione degli agenti erosivi sulle rocce granitiche ha formato nel tempo creste acuminate e vette a guglia di particolare bellezza che richiamano nella regione alpinisti da ogni parte del mondo.

La parte della Brenva

Mentre il versante francese discende lentamente il pendio, il versante italiano è formato da una ripida e maestosa muraglia granitica che dalle sommità maggiori precipita sul fondo delle valli Ferret e Veny. Su questo versante si trovano le pareti più difficili e impegnative da scalare. I luoghi abitati sono situati al di sotto dei 2800 m. slm e i valichi sono rari e difficili (basti considerare che il valico più basso è quello del Gigante, a quota 3359 m. slm). Fra le cime, eccone alcune delle più importanti:

  • l Dente del Gigante (4.014 m) è una delle più celebri cime. Si erge per circa 160 m al di sopra della caratteristica gengiva di neve.
  • Le Grandes Jorasses: sulla sua parte sommitale, lunga circa 1 km, raggruppa una sequenza di sei punte, cinque delle quali superano i 4.000 m.
  • L’Aiguille Noire de Peuterey (3.773 m) è uno dei simboli del Monte Bianco nel versante italiano: si innalza direttamente dai prati della Val Veny per 2.200 m di dislivello; è la cima più importante della gran cresta del Peuterey.
  • Il Dôme du Goûter (4.306 m). Se la parte sommitale delle Grandes Jorasses è irta di cime, quella del Dôme du Goûter è completamente piatta ed è la più estesa di tutte le Alpi.
  • Il Mont Dolent (3.820 m) è una cima piramidale; curiosamente la sua vetta è il punto d’incontro delle frontiere di Italia, Svizzera e Francia.
  • le Guglie di Chamonix, tra i 3.000 e i 3.842 m, dominano la vallata di Chamonix e rappresentano uno dei paesaggi più celebri delle Alpi francesi.

Altezza

Le due vette del Monte Bianco: quella rocciosa e quella ghiacciata

Al di sotto della calotta sommitale, sotto una coltre di ghiaccio e neve spessa da 16 a 23 m., a quota 4792 si trova la cima rocciosa, spostata di circa 40 m. più a Ovest rispetto alla vetta stessa.

Nel 1740, il matematico svizzero Nicolas Fatio de Duiller fu il primo a determinare l’altezza del Monte Bianco mediante il sistema trigonometrico. Secondo i suoi calcoli il Bianco misurava 4000 m. Trentacinque anni dopo, nel 1775, usando lo stesso metodo di Duiller, il matematico inglese George Schuckburgh-Evelyn indicò la quota a 4804. Nel 1807, tramite il barometro, Horace-Bénédict de Saussure misurò 4809,07 m., mentre nel 1844 il fisico francese Auguste Bravais misurò 4810 m. e nel 1892 Joseph e Henry Vallot 4807,20 m.

Nell’agosto del 1986 la misurazione ortometrica rilevata tramite satellite risultava essere di 4804,4 m. Successivamente l’altezza ufficiale è stata per lungo tempo 4807 m., per poi passare nel 2001 a 4810,40 m., nel 2003 4808,45 m., nel 2005 4808,75 m., nel 2007 4810,90 m. e nel 2009 4810,45 m. Nell’ultima misurazione (settembre 2015) il Monte Bianco è risultato essere alto 4808,75 m., ovvero più basso rispetto alla precedente misurazione di 1,29 m. Queste variazioni sono dovute non a errori negli strumenti o nei metodi di misurazione, bensì ai venti che accumulano la neve sulla cima, determinandone conseguentemente l’altezza. Se durante l’anno si registrano meno giorni ventosi rispetto all’anno precedente, l’accumulo di neve sarà inferiore, e così l’altezza della montagna. Inoltre, a causa delle continue variazioni della calotta ghiacciata, a partire dal 2001 si è deciso di effettuare un rilevamento ufficiale ogni due anni. Le misurazioni vengono effettuate a cura della Camera provinciale dei geometri dell’Alta Savoia in collaborazione con una società specializzata in rilevamenti tramite GPS. Nel 2003, la misurazione effettuata nel mese di settembre attestava l’altezza a 4808,45 m. La causa del calo dell’altezza del monte fu l’eccezionale siccità di quell’anno. Sempre in quella occasione e sempre per le stesse ragioni, si poté constatare che la cima si era spostata di 0,75 cm. in direzione Ovest rispetto alla posizione del 2001. Durante quella campagna di misurazioni, sono stati sistemati sulla calotta sommitale più di 500 punti di riferimento fissi al fine di studiare con precisione il variare del volume del ghiaccio al di sopra dei 4800 m. slm. Nel 2003 questo volume era di 14600 m³, nel 2005 14300 m³, per arrivare ai 14100 attuali.

Il Monte Bianco è la montagna più alta di tutta la catena alpina ed è considerata anche la più alta d’Europa. Nonostante le fonti più autorevoli non considerino il Caucaso come limite geografico del continente, tuttavia talora vengono citate come vette più alte d’Europa quelle situate in territorio russo e georgiano, come l’Elbrus, che culmina a 5642 m. slm, il Dykh Tau con 5.203 m. slm, il Shkhara a 5.200 m. slm e il Kazbek 5.047 m. slm.

Geologia

Il complesso montuoso delle Alpi è stato generato durante l’Era terziaria grazie alla spinta della placca tettonica africana e di quella asiatica, attraverso un processo di sopraelevazione verticale. Circa 300 milioni di anni fa, durante l’orogenesi ercinica, una grande intrusione granitica formò la struttura di base dell’attuale Massiccio del Monte Bianco. Moderni metodi di rilevazione mettono oggi in evidenza come la sopraelevazione delle Alpi prosegua incessantemente e superi gli effetti dell’erosione.

Attorno al nucleo granitico (protogino) affiorarono rocce metamorfiche (gneiss, micascisti e calcescisti). Le rocce più frequenti sono:

  • i graniti, che si distinguono nella parte centrale del Massiccio per le creste a guglia e le forme più acute dei rilievi. Nonostante sia molto dura, questa roccia non resiste agli effetti dell’erosione provocata dai ghiacciai;
  • le rocce metamorfiche, che circondano i graniti. Queste rocce contengono le stesse famiglie di cristalli dei graniti, ma la loro resistenza all’erosione è minima e presentano forme più slanciate rispetto alle altre;
  • le rocce sedimentarie, che vengono sviluppate generalmente in due grandi famiglie, ossia le rocce basiche (calcari, dolomie, calcescisti, carniole) e le rocce acide (gres, scisti argillosi, quarzite).

Quarzo fumé del Monte Bianco

I quarzi del Monte Bianco. Milioni di anni dopo (come precedentemente accennato, da 70 milioni di anni il sistema alpino è ancora in evoluzione) l’orogenesi alpina sollevò questa intrusione di granito creando delle fratture nelle quali si aprirono crepe e fessure. La formazione di cristalli di minerali è il risultato di un’iniezione di acqua mineralizzata in queste fessure. Il processo di crescita dei quarzi nelle fessure alpine non è ancora completamente conosciuto. Per questa ragione il Monte Bianco è conosciuto anche come località mineralogica e dalle sue pendici proviene una grande quantità di minerali diversi, soprattutto quarzi di rocca e fluoriti rosa considerate le migliori. A testimonianza di un passato di sfruttamento delle risorse minerarie nel Massiccio, sul versante italiano si trovano ancora due antiche miniere di galena argentifera e di blenda, abbandonate ormai da tempo. Una era conosciuta già nell’antichità con il nome di Trou des Romains e pare realmente che il suo sfruttamento sia iniziato in epoca romana; l’altra, la miniera del Miage, è stata abbandonata nell’Ottocento ed è posizionata a 3500 m. di altezza, con l’ingresso direttamente dalla parete rocciosa, alle falde della Tête Carrée.

A 3462 m, slm, a Punta Helbronner, sulla Terrazza dei Ghiacciai si trova una mostra permanente di cristalli provenienti dal Massiccio e tra i 150 minerali esposti si possono ammirare le più particolari varietà di quarzo di rocca, di morioni ialini e fumé, le vesuviane e i granati rinvenuti presso Chatillon, i minerali delle antiche miniere, tra i quali i campioni di oro nativo di Brusson e di violano di Saint Marcel, unica località di ritrovamento al mondo. La conoscenza che Jacques Balmat (v. infra) aveva del massiccio era dovuta anche al fatto che lui stesso era un cercatore di cristalli (oltre che un cacciatore di camosci) e se il quarzo e la fluorite sono i minerali sovrani del Monte Bianco, se ne possono trovare ancora altro come: l’adularia, l’ankerite, il berillo, la calcite, la dolomite, l’ematite, la fluorapatite, la galena, la siderite, il titanite, l’epidoto.

Clima

Il vento spazza la cima del Monte Bianco

Il Monte Bianco è situato a 45° di latitudine Nord, dista 240 km dal mar Mediterraneo e 620 km dall’Oceano Atlantico. Nel massiccio in cui si trova, il clima è semicontinentale ed è condizionato dai venti umidi provenienti dall’Atlantico. Questi, una volta giunti sul massiccio tendono a raffreddarsi lungo lo spartiacque e sulle testate delle valli, determinando condizioni di piovosità a basse altitudini, con un massimo di precipitazioni in luglio e agosto e un minimo a gennaio e febbraio. Le condizioni meteorologiche possono variare molto rapidamente con abbondanti nevicate, nebbie improvvise e vento gelido. Al di sopra dei 3000 m. circa, le precipitazioni autunnali e primaverili cadono essenzialmente sotto forma di neve, raramente come pioggia ghiacciata, e sono più frequenti nel periodo estivo che in quello invernale a causa della diminuita umidità dell’aria fredda in inverno.

Sopra i 3800 m. la totalità delle precipitazioni sono di carattere nevoso e garantiscono un forte accumulo di neve ai ghiacciai che attorniano la montagna. Queste precipitazioni si trasformano spesso in vere e proprie tempeste di neve, specialmente alle quote più alte e sulla parte sommitale, dove durante queste bufere gli accumuli di neve arrivano fino a 4 metri di spessore. Si possono stimare tra 150 e 160 all’anno i giorni di precipitazioni nevose oltre i 3500 m., con una intensità delle precipitazioni sulla vetta di circa 20 cm di neve (corrispondenti a circa 20 mm di acqua) giornalieri. Durante l’anno, tra il 15 di giugno e il 15 di luglio, a cavallo del solstizio d’estate, sulla parte sommitale si può assistere a una sorta di disgelo, con temperature massime che raggiungono i 3 °C. L’azione del sole fonde la neve superficiale creando acqua che filtra negli strati inferiori per poi gelarsi rapidamente.

Oltre alle abbondanti nevicate, anche i venti giocano un ruolo determinante per la formazione e la conservazione della calotta ghiacciata sommitale. Se da una parte quelli secchi d’inverno spazzano via la neve, dall’altra i venti umidi primaverili, caratterizzati da abbondanti precipitazioni, ne apportano grandi quantità. Sulla cima la velocità dei venti può raggiungere i 150 km/h e la temperatura i -40 °C. Sono frequenti anche le perturbazioni causate dal föhn, un vento caldo che spira proveniente dalla Val Ferret, e nel superare i contrafforti del versante valdostano perde umidità provocando forti nevicate in alta quota, per ridiscendere verso la valle dell’Arve ancora più caldo favorendo giornate soleggiate. Durante le escursioni sulla montagna, il vento rafforza la sensazione di freddo e la temperatura percepita risulta inferiore a quella effettiva nell’ambiente circostante (effetto Windchill).

Ghiacciai

Val Veny

Il Massiccio del Monte Bianco è una delle più vaste zone alpine ricoperte dai ghiacci e i suoi ghiacciai, in tutto 65, occupano un’area di 165 km². I più estesi sono localizzati sul versante francese dove i pendii sono meno ripidi e sono esposti a Nord. Tra questi ricordiamo il Ghiacciaio dei Bossons e la Mer de Glace, che arrivano fin quasi alla vallata di Chamonix. Con circa 40 km² di estensione, la Mer de Glace è il terzo ghiacciaio delle Alpi per dimensioni, dopo quello di Aletsch nelle Alpi Bernesi  e quello del Gorner sul Monte Rosa, entrambi in Svizzera. Sul versante meridionale, quello italiano, sono presenti i ghiacciai del Freney, della Brenva, del Miage, del Monte Bianco, del Triolet, di Pré de Bar, solo per citarne alcuni. Tra i paesaggi glaciali alpini, quello della Val Veny è uno dei più singolari: due imponenti fiumane gelate scendono dalla cima del Bianco fino sul fondo della valle a 1200 m. di quota sbarrandone l’ingresso. Continuando nella valle stessa, un’altra lingua glaciale, quella del ghiacciaio del Miage, irrompe nella vallata occupandola per quasi tre km di lunghezza in tutta la sua larghezza.

Attualmente, il Monte Bianco è sottoposto a continui monitoraggi per meglio conoscere e capire quanto accade ai ghiacci sulla calotta sommitale. A causa dei cambiamenti climatici e del conseguente generalizzato aumento delle temperature, da alcune decenni i ghiacciai del Bianco (e in generale di tutto l’arco alpino) sono in forte regresso, in particolare i più piccoli. Secondo i dati provenienti dalle più recenti ricerche, negli ultimi anni si assiste a un particolare fenomeno che fa aumentare considerevolmente la coltre ghiacciata oltre i 4000 m., tanto che la quota della cima del monte è aumentata di 2,15 m. e la calotta sommitale di 10000 m³ di ghiaccio. Secondo i meteorologi, questo incremento è spiegato dal fatto che negli ultimi anni è aumentato il numero delle giornate caratterizzate da venti provenienti da occidente, ossia quelli che spingono verso le Alpi le perturbazioni oceaniche molto ricche di umidità. Questa umidità ad alta quota si trasforma in neve, mentre a bassa quota piove.

Nuovi dati provenienti dalla stazione meteorologica impiantata sul ghiacciaio del Gigante, la più alta stazione di monitoraggio meteo-glaciale in Italia, gestita dai ricercatori dell’Università di Milano e dal Comitato Ev-K2-C.N.R., hanno dimostrato un comportamento anomalo riguardante l’energia solare che arriva sui ghiacciai in inverno: i ghiacciai di fatto risultano scuri perché vecchi e poco rinnovati, e di conseguenza riflettono meno (con una percentuale del 69%) la luce solare che assorbono invece in quantità maggiore (ossia il 31%) predisponendoli a una più accelerata fusione durante il periodo estivo quando le temperature sono molto più elevate.

Flora e fauna

Lo stambecco

Nel territorio in cui svetta il Monte Bianco i pendii delle montagne sono ripidi e levigati dai ghiacciai, con suoli prevalentemente acidi. Di conseguenza l’ambiente è piuttosto povero di flora. Generalmente, le nevi persistono oltre i 2800 m. di altitudine. Sulle parte ovest le prime pendici si situano intorno ai 3500 m., mentre sul versante opposto partono dai fondovalle valdostani. Date le condizioni estreme, la vita delle specie vegetali e animali è molto limitata, ma, tra i crepacci o al riparo tra le pareti granitiche, alcune specie di piante riescono a sopravvivere sino a 4000 m., come il ranuncolo dei ghiaccia. A quelle altitudini si trovano anche muschi e licheni. A quote più basse i suoli spesso originano da calcescisti o da rocce calcaree e le condizioni di vita per le piante sono meno estreme, pur rimanendo quelle caratteristiche di un severo ambiente di montagna.

Alle altitudini più basse prevalgono le foreste di conifere, popolate soprattutto dall’abete rosso e dal larice, ma localmente anche dal pino cembro e dal pino uncinato. Nella prateria alpina, invece, si possono osservare molte specie di fiori, fra cui le vistose infiorescenze gialle dell’Hugueninia tanacetifolia, una pianta endemica del settore occidentale delle Alpi, e l’Anemone narcissiflora, e ancora la genziana (Gentiana clusi), la notissima stella alpina, la rara campanula gialla. Nel sottobosco si può trovare l’orchidea scarpetta di Venere (Cypripedium calceolus), l’orchidea Dactyolorhiza sambucina, il giglio martagone (Lilium martagon), l’aquilegia, la viola (Viola calcarata), e le comuni genzianelle blu (Gentiana verna e Gentiana acaulis). Interessante la presenza dell’ibrido tra la genziana purpurea (Gentiana purpurea) e la genziana punteggiata (Gentiana punctata). Salendo più in alto si trovano arbusti come il rododendro (Rhododendron ferrugineum) e il mirtillo.

La Saussurea Alpina

Nel cuore del Massiccio, a 2175 m. slm si trova il giardino botanico più alto d’Europa, il Giardino alpino Saussurea, che raccoglie e valorizza le specie naturali della flora caratteristica del Monte Bianco. Prende il nome dal fiore Saussurea alpina, chiamato così in onore dello scienziato Horace-Bénédict De Saussure, promotore della prima ascensione al Monte Bianco nel 1786.

In condizioni così difficili come quelle delle più alte quote, i mammiferi non possono sopravvivere, contrariamente a certe specie di uccelli. Ad altitudini più basse, invece, la fauna si presenta più ricca e variata. La vicinanza di due Parchi Nazionali (Gran Paradiso e della Vanoise) ha contribuito al mantenimento e alla diffusione di alcune specie che si erano ridotte a pochi esemplari. Tra i mammiferi si può incontrare il camoscio alpino, che frequenta sia la prateria del piano alpino che i boschi del piano subalpino, dove è anche possibile incontrare due grandi erbivori come il cervo e il capriolo. Le ampie pietraie del piano alpino vedono la presenza dello stambecco, dell’aquila reale e della sua principale fonte di alimentazione, la marmotta. Un animale che si incontra sia nelle praterie di alta quota che nel fondovalle è la volpe.

Nell’area del Massiccio sono state osservate ben 184 specie di uccelli e circa 110 sono nidificanti. Oltre all’aquila, tra i rapaci si possono avvistare la poiana, l’astore e il gheppio. Talvolta si può osservare il volo circolare dell’avvoltoio degli agnelli, il gipeto estinto sull’arco alpino all’inizio del XX secolo e reintrodotto di recente. Sono presenti anche il fagiano di monte, il francolino di monte (nella Savoia e nel Vallese ma non più nella Valle d’Aosta) e il corvo imperiale.

Poche sono invece le specie di rettili e si trovano comunque a quote relativamente basse. Tra questi la natrice dal collare, mentre dove il terreno è pietroso e soleggiato si può incontrare l’aspide.

Storia

Un antico documento redatto in latino e risalente al 1091 parla di una Rupes che a Chamonix veniva chiamata AlbaRupes Alba è stato un toponimo del Monte Bianco, che variò molte volte nel corso dei secoli. Si ha infatti notizia della denominazione di Sayz Scez Blans nel 1319; di Mont Sainct Bernard nel 1532; di Glacialis Montes nel 1581; di Mont Malay, Mont MaletMontagne Maudite tra il 1606 e il 1743; ma anche di La Glacière, Les GlacièresLes Glassières tra il 1741 e il 1743.

Ben visibile da Ginevra, in questa città il Monte Bianco era conosciuto sia come Montagne Maudite che con il nome di Mont Maudit e con tale nome fu indicato su una carta geografica riguardante i territori intorno al Lago Lemano pubblicata ad Amsterdam nel 1606 ad opera del cartografo ginevrino Jacques Goulart (1580-1622). Il nome attuale in francese apparve per la prima volta in Inghilterra nel 1744 su una carta geografica edita a Londra.

A quei tempi, l’intero Massiccio era situato nel mezzo dei possedimenti di terra ferma del Regno di Sardegna e i sovrani di Casa Savoia, futuri re d’Italia, per secoli ne erano stati i legittimi proprietari fino alla cessione della Savoia alla Francia nel 1861.

Le disparità cartografiche

Carta topografica italiana in cui la vetta del Monte Bianco segna il confine italo-francese

Le carte geografiche dell’I.G.N. (Institut Geographique National de France) mostrano la vetta del Monte Bianco interamente in territorio francese, in netto contrasto con le carte geografiche dell’I.G.M. (Istituto Geografico Militare di Firenze), nelle quali il confine tra i due Stati passa esattamente sulla cima. Un trattato bilaterale concluso nel 1861, tuttora legalmente valido, indica inequivocabilmente la cima come frontaliera cioè divisa a metà tra i due Stati. Tale trattato fu sospeso durante tutta la durata della Seconda guerra mondiale. Il 10 febbraio 1947, con il Trattato di Parigi, le autorità francesi decisero di mettere fine alla sospensione. La Convenzione di delimitazione, dopo diversi cambiamenti, fu allora rimessa in vigore.

Frontespizio della carta topografica del cap. J.J. Mieulet del 1865. A questa carta si devono le successive disparità cartografiche

Sul vecchio tracciato stabilito nel 1861, le autorità transalpine pretesero quattro rettificazioni. La più importante di questa riguardava la valle del Roia, Briga Marittima, Tenda, e tre minori: una sul versante italiano del Colle del Monginevro, un’altra sul Colle del Moncenisio, e poi sul Piccolo San Bernardo. Sulla vetta del Monte Bianco la frontiera non subì nessun cambiamento. Nella seconda metà del XIX secolo, su dei rilievi effettuati da un cartografo dell’esercito francese, il capitano J.J Mieulet, venne pubblicata in Francia una carta topografica che arbitrariamente inglobava la vetta in territorio francese, facendo fare al confine di Stato una deviazione della linea spartiacque e dando in questo modo origine alle differenze con le carte pubblicate in Italia nello stesso periodo, differenze che la cartografia ufficiale italiana sin dall’inizio mai riconobbe. Secondo gli autori di un libro apparso anni fa nelle librerie italiane e francesi, la carta topografica del 1865 è un clamoroso falso storico senza alcun valore giuridico, in contrasto con gli accordi sottoscritti tra i due Stati sin dal 1860 e ribaditi nel 1947.

Nel 2002, i due enti cartografici menzionati, i Club Alpini di Italia e Francia, le regioni frontaliere e gli Stati interessati hanno pubblicato una carta topografica condivisa. Questa nuova carta, parte del progetto Alpi senza frontiere, fa un passo avanti rispetto alle vecchie carte, ma manca ancora di chiarezza sulle vette contese e le crocette che segnano i confini appaiono volutamente distanziate, anche se le differenze con la carta “I.G.N. top 25” del 1998 sono evidenti.

Con gli attuali sconvolgimenti climatici, la Protezione Civile italiana ha evidenziato la necessità di un chiarimento tra le due amministrazioni in modo da evitare fraintendimenti sulle competenze riguardanti la sorveglianza del ghiacciaio sulla displuviale, le cui acque, in caso di scioglimento, coinvolgerebbero totalmente il territorio italiano.

Le Scuole militari

Cerimonia di riapertura della Scuola Militare Alpina nel 1948

Alla fine del secolo XIX nelle nazioni dell’arco alpino vennero creati reparti speciali addestrati per la guerra in montagna. L’alpinismo entrò così a far parte della preparazione militare, insieme all’uso degli sci. Il 9 gennaio 1934 ad Aosta venne costituita la Scuola Centrale Militare di Alpinismo, con distaccamenti a La Thuile e Courmayeur. Il primo comandante della Scuola fu il tenente colonnello Luigi Masini. La Francia già si era dotata nel 1932 dell’École de Haute Montagne (E.H.M.) con sede a Chamonix.

Il grandioso scenario del gruppo del Bianco fu il teatro allora delle spettacolari esercitazioni delle scuole militari dei due paese, con manovre in alta quota di reparti specializzati. Alla Scuola di Aosta, diventata l’Università dell’alpinismo, affluirono dalle valli alpine italiane i nomi migliori dell’alpinismo e dello sci nazionale. In breve furono organizzate e portate a termine imprese che all’epoca destarono grande ammirazione.

Il 22 giugno 1935 oltre 200 allievi alpieri della Scuola prestarono solenne giuramento di fedeltà alla Patria e al Re sulla cima del Bianco scalandolo per vie diverse, alcune delle quali tra le più impegnative. L’anno seguente, 600 uomini completamente armati attraversarono la catena delle Grandes Murailles, da Valpelline a Valtournanche. Nel 1937 una imponente esercitazione in alta quota impegnò l’intero battaglione “Duca degli Abruzzi” (500 uomini) che occupò tutti i valichi di confine con la Francia per risalire, per vie diverse, sulla vetta del Tetto delle Alpi. Nel 1938 fu il turno di truppe specializzate francesi, che si ritrovarono sul Bianco il 14 luglio.

La Scuola Centrale Militare di Alpinismo di Aosta divenne in pochi anni famosa e conosciuta a livello internazionale. Successivamente, relativamente proprio al Monte Bianco, venne istituito il “Reparto Autonomo Monte Bianco”, costituito dagli elementi migliori degli alpini. Il compito del reparto (corrispondente come organico a una compagnia) era di presidiare la zona del Bianco dal Colle della Seigne al Col Ferret. Per meglio organizzarlo, fu diviso in tre schieramenti comandati da nomi celebri dell”alpinismo italiano come Giusto Gervasutti (Il Miage), Renato Chabod (il Gigante) ed Emanuela Andreis (il Ferret). La Scuola partecipò fin dagli esordi ad eventi agonistici nell’ambito degli sport invernali e vinse nel 1936 a Garmisch la gara olimpica di pattuglia militare.

Le battaglie del Monte Bianco

Nel corso della Seconda guerra mondiale il Monte Bianco divenne il campo di battaglia più alto in quota in Europa. Il Rifugio Torino (3375 m. slm), poi il Col du Midi (3564 m. slm) furono teatro di sanguinosi scontri tra soldati tedeschi e partigiani francesi e italiani. Ancora prima, nel 1940, Benito Mussolini, fino ad allora non belligerante, persuaso che il conflitto stesse terminando, dichiarò guerra alla Francia. Il 10 giugno 1940, il 5° reggimento Alpini e il battaglione “Duca degli Abruzzi” sferrarono l’attacco partendo dalle pendici del Bianco, in Val Veny, verso il Col de la Seigne, incontrando oltrefrontiera una forte resistenza nelle fortificazioni francesi a Sélonges in Val des Glacièrs.

Le ostilità sul fronte occidentale durarono poco tempo e 14 giorni dopo, con l’armistizio del 24 giugno 1940, le operazioni si fermarono impedendo ulteriori avanzate italiane. Quattro anni più tardi, dopo gli sbarchi alleati in Normandia, giugno 1944, e in Provenza, agosto 1944, la Wehrmacht tedesca iniziò il ripiegamento verso la Germania risalendo la Valle del Rodano inseguita dagli americani della 7ª Armata del generale Alexander Patch e dai francesi del generale Jean de Lattre de Tassigny. Alla Resistenza francese gli americani assicuravano rifornimenti di viveri e armi. Dal cielo piovevano in Savoia contenitori pieni di fucili, mitra, pistole, bombe, bazooka, granate e munizioni di ogni tipo. Il 13 agosto, il comando delle Forze Libere francesi chiese il sostegno della Resistenza valdostana per la liberazione della Savoia.

Dopo violenti combattimenti il presidio di Chamonix si arrese il 17 agosto. Due mesi dopo, in ottobre, a difesa del Massiccio fu creato in Francia il battaglione Mont Blanc, formato da tre compagnie nelle quali confluirono le formazioni di partigiani dell’alta Valle dell’Arve, guide di Chamonix, maestri di sci e guide del C.A.F. (Club Alpin Français). Il loro compito era quello di occupare e presidiare i rifugi di alta quota. Al Rifugio Simond, al Col du Midi, fu inviata una sezione si S.E.S. (Section d’Eclaireurs-Skieurs), ossia una sezione di esploratori con sci del corpo dei Cacciatori alpini francesi al comando del tenente Jacques Rachel.

Il Rifugio Torino. Sullo sfondo, a fondo valle, Courmayeur

La battaglia al Rifugio Torino. Approfittando della mancata presenza tedesca sul Massiccio, gli esploratori alpini occuparono il Rifugio Torino, sul Colle del Gigante, nel versante italiano. Da quella posizione potevano vedere quanto avveniva nel fondovalle, controllando i movimenti del fronte opposto che in quel periodo si era stabilizzato sul Piccolo San Bernardo. I tedeschi, che si erano accorti della loro presenza, pianificarono un attacco per neutralizzarli. Il 2 ottobre 1944 una pattuglia formata da un ufficiale e otto Gebirgsjäger (cacciatori alpini tedeschi) salì nella notte sul Colle del Gigante, aspettando il momento propizio per attaccare. Finita una bufera di neve che nel frattempo imperversava, verso le 10.30 sferrarono a sorpresa un violento attacco contro gli occupanti del rifugio che si difesero strenuamente prima di arrendersi. Nella battaglia persero la vita tre partigiani francesi e uno italiano, gli altri vennero fatti prigionieri e portati a valle. Il rifugio venne poi danneggiato per renderlo inutilizzabile dalla Resistenza. Venticinque giorni dopo la battaglia, il 27 ottobre, Sandro Pertini, futuro presidente della Repubblica, ritornando in Italia dall’esilio, passò la notte proprio nel Rifugio Torino semidistrutto in quell’azione. Il giorno successivo i partigiani valdostani lo accompagnarono verso zone non controllate dai tedeschi.

La battaglia al Col du Midi. Nonostante l’inverno 1944-1945 fosse stato molto rigido e con un susseguirsi ininterrotto di bufere di neve sul Bianco, gli esploratori francesi si inoltravano spesso sul confine italiano per controllare i movimenti nemici e prevenire eventuali attacchi. I tedeschi, consci di questa continua sorveglianza, decisero di occupare la displuviale fino al Rifugio Simond sul Col du Midi e di neutralizzare la teleferica. Dal comando tedesco fu così pianificata l’operazione Himmelfahrt (ascensione al cielo), sotto il comando dell’Oberleutenant Hengster, esperto alpinista, che poteva contare su 176 uomini tra ufficiali e soldati delle truppe scelte per combattimenti in alta quota. I loro movimenti e le loro esercitazioni nelle settimane precedenti l’attacco furono seguite attentamente dalla Resistenza valdostana e segnalate tempestivamente sia agli Alleati, sia via radio in stretto dialetto patois alla Resistenza francese. Il 16 febbraio 1945 i tedeschi salirono al Rifugio Torino, ma il giorno stesso furono individuati dagli esploratori francesi.

Il giorno dopo partì l’attacco. I tedeschi scesero attraverso la Vallée Blanche diretti al Rifugio Simond. Il loro piano prevedeva un attacco centrale sostenuto dal grosso delle forze mentre due distaccamenti investivano il Col du Rognon, sulla destra, e, sulla sinistra, le rocce del Tacul. Il tenente Rachel non volle farsi sorprendere e decise di andare incontro al nemico con il quale prese contatto già nella notte. Dopo un violento scontro i francesi decisero di ritirarsi arrampicandosi sulla cresta del Rognon, ma la loro posizione si rivelò ben presto indifendibile. Ripiegarono nuovamente attraversando la Vallée Blanche sotto il tiro di una mitragliatrice tedesca. Raggiunsero le forze rimaste al Col du Midi e si arroccarono rispondendo al fuoco tedesco. La radio dei tedeschi era fuori uso cosicché questi non ebbero modo di utilizzare l’artiglieria mentre la loro posizione diventava sempre più critica. Decisero di ritirarsi mentre un aereo francese, comparso improvvisamente, buttava granate dall’alto. Ripiegarono e si disposero a difesa sul Colle del Gigante. L’attacco a sorpresa al Rifugio Simond era fallito. I tedeschi subirono la perdita di nove soldati mentre i francesi contarono una sola perdita.

A quel punto i transalpini rafforzarono il loro presidio sul Col du Midi facendo arrivare mitragliatrici e due batterie da montagna. Con gli obici, senza poterla visualizzare, tentarono di colpire la funivia sul monte Fréty, quella che collegava il colle con il fondovalle, ma inutilmente. Furono invece loro bersaglio degli obici tedeschi che dal monte Fréty tirarono salve sul Rifugio Simond e sulla teleferica. Riuscirono a centrarli entrambi, spezzando un cavo di sostegno della funivia e distruggendo il rifugio. Questa volta fu una battaglia di artiglierie. I francesi ripresero a sparare il giorno dopo aiutati da un aereo ricognitore che per radio dava indicazioni sulla riuscita dei tiri. Un colpo centrò il pilone di sostegno della teleferica mettendola fuori uso.

Il caso Vincendon-Henry

Il caso Vincendon-Henry fu una tragica vicenda alpinistica che coinvolse due giovani scalatori: Jean Vincendon, parigino di 24 anni, e François Henry, 22 anni, di Bruxelles. I due partirono il 22 dicembre 1956 per passare il Capodanno sullo Sperone della Brenva, maestosa sommità rocciosa nel versante Est del Monte Bianco. Durante il percorso di avvicinamento incontrarono Walter Bonatti e Stefano Gheser che si avviavano verso l’ascensione invernale della Via della Poire. L’ascensione di entrambe le cordate iniziò alle 4 del mattino di Natale, orario ideale per l’itinerario di Vincendon e Henry, ma già troppo tardi per quello che avrebbero dovuto percorrere Bonatti e Gheser. Infatti, dopo qualche ora di sole, le condizioni del ghiaccio peggiorarono e la cordata di Bonatti fu costretta a discendere sulla Brenva e a seguire la cordata di Vincendon.

I quattro alpinisti vennero però colti da una violenta tempesta che li costrinse a un drammatico bivacco di 18 ore a quota 4100 m. Bonatti e Gheser riuscirono a raggiungere il Rifugio Gonella dove vennero salvati, il 30 dicembre, dalle guide alpine Gigi Panei, Sergio Viotto, Cesare Gex e Albino Pennard. Gheser, colpito da gravi congelamenti, avrà alcune dita di entrambi i piedi e di una mano amputate. Vincendon e Henry, che optarono per raggiungere direttamente Chamonix, morirono dopo cinque giorni di freddo a 4000 m. di quota, nell’attesa che le squadre di soccorso, bloccate dal maltempo, li prelevassero (ancora vivi, li raggiungerà un elicottero che però cadrà sul ghiacciaio). I corpi dei due giovani alpinisti vennero recuperati solo nel marzo del 1957. La tragedia segnerà l’istituzione del PGHM, il gruppo militare di soccorso alpino francese (Peloton spécialisé de haute montagne).

La tragedia del Freney

Il versante Est del Monte Bianco. Da sinistra verso destra: la parete Est dell’Aiguille Blanche de Peuterey, i piloni del Freney che emergono da dietro la cresta di Peuterey, la rocciosa parete Est del Grand Pilier d’Angle al centro, la parete della Brenva a destra sovrastata dalla vetta del Monte Bianco

Nel mese di luglio del 1961, sul versante italiano del Bianco si consumò una delle vicende più drammatiche della storia dell’alpinismo. Il Pilone Centrale del Freney era una meta molto ambita dagli scalatori di tutto il mondo, una delle ultime non ancora conquistate. La sua parete di granito rosso era difficilissima da scalare e per molti addirittura ritenuta impossibile. Walter Bonatti e Pierre Mazeaud, già entrambi leggende dell’alpinismo, si incontrarono domenica 9 luglio al Bivacco della Fourche diretti verso lo stesso obiettivo e decisero di unire le forze per tentare la scalata insieme. Con loro c’erano Andrea Oggionni, Roberto Gallieni, Pierre Kohlmann, Robert Guillaume e Antoine Vieille, tutti rocciatori conosciuti ed esperti. Il tempo era buono ed erano previste condizioni stabili. Dopo una giornata e mezza di avvicinamento, raggiunsero la Chandelle, ossia la cuspide sommitale del pilone, a 4500 m. di quota. Quando mancavano 120 m. alla fine della scalata, la cordata fu investita da un’improvvisa bufera di neve che li bloccò sulla parete. Erano le 2 del pomeriggio di martedì 11 luglio: il tempo era cambiato velocemente come spesso accade sul Monte Bianco. Fu impossibile continuare, bisognava ritirarsi per trovare riparo nel Rifugio Gamba (attuale Rifugio Monzino). Intanto a Courmayeur scattò l’allarme grazie alle guide Gigi Panei e Alberto Tassotti, i quali furono i primi a comprendere la disperata situazione dei sette alpinisti scoprendone le tracce al Bivacco della Fourche. Partirono subito i soccorsi per rintracciare gli alpinisti oramai bloccati da tre giorni. Nella cittadina accorsero giornalisti e curiosi e tutta l’Italia seguì lo sviluppo della tragedia raccontata ora per ora in diretta televisiva e radiofonica dai giornalisti Emilio Fede e Andrea Boscione.

Mentre Bonatti indicava la via verso la salvezza, stremato dal freddo e dalla fatica, la mattina di sabato 15 luglio Antoine Vieille perse la vita ai Rochers Gruber, dopo cinque bivacchi in parete. Robert Guillaume nella serata dello stesso giorno precipitò in un crepaccio del ghiacciaio del Freney. Nella notte fra sabato e domenica 16 luglio fu Andrea Oggioni a perdere  la vita sul colle dell’Innominata a soli tre quarti d’ora dal Rifugio Gamba. I superstiti si avvicinavano lentamente alla salvezza, ma appena prima di giungere al rifugio, Pierre Kohlmann crollò nella neve privo di vita. Alle 3 del mattino di domenica, Bonatti e Gallieni giunsero finalmente al Rifugio Gamba dove trovarono gli uomini delle squadre di soccorso. Subito dopo raggiunsero Mazeaud, rimasto indietro, salvandolo.

Aviazione

Ecco una breve cronologia del rapporto fra aerei e Monte Bianco:

  • 11 febbraio 1914: Agénor Parmelin è il primo aviatore a sorvolare il Gruppo del Monte Bianco.
  • 1955; Jean Moine è il primo pilota ad atterrare sulla cima con un elicottero Bell 47 G)
  • 23 giugno 1960: l’aviatore Henri Giraud atterra sulla cima del Monte Bianco su una “pista” lunga appena 30 metri.
  • 1973: primo decollo dalla vetta in deltaplano a opera di Rudy Kishazy.
  • 1982 primo decollo in parapendio a opera di Roger Fillon.
  • 1 luglio 1986: Dominique Jacquet e Jean-Pascal Oron sono i primi ad atterrare con un paracadute sulla vetta.

Disastri aerei. Sul versante italiano del Bianco, caratterizzato da aspre pareti a strapiombo, ricadenti nel territorio comunale di Courmayeur, si sono verificati diversi incidenti aerei che hanno causato la perdita di monte vite umane. Nella loro discesa verso il fondovalle, i ghiacciai trasportano testimonianze di quelle tragedie restituendo parti di carlinghe, resti di motori e di eliche, spoglie umane e vestiario che insieme ad altri vari documenti aiutano a ricostruire quanto accaduto.

Un bombardiere Boeing B-17C “Fortezza Volante”

Il 1° novembre del 1946 un bombardiere americano B17 Fortezza Volante esplose sulla cresta Sud-Ovest dell’Aiguille des Glaciers in alta Val Veny. Era un quadrimotore di 23 m. di lunghezza e 32 m. di apertura alare, con numero di serie 43-39338 appartenente al 61st Troop Carrier Group di stanza in Italia. Partiva da Napoli ed era diretto verso Londra con a bordo otto passeggeri, tra i quali figuravano tre ufficiali: due tenenti colonnelli e un maggiore. Le cause non sono mai state accertate, ma molto probabilmente le cattive condizioni meteorologiche ebbero un ruolo determinante. I primi relitti insieme a resti umani furono scoperti nel 1970 nei pressi del Rifugio Elisabetta, trasportati dal ghiacciaio dell’Estelette. Successivamente, sul versante francese, un altro ghiacciao, il Glacier des Glaciers restituì altri resti dei soldati americani che formavano l’equipaggio.

Sempre sul versante Est, appena sotto la cima dove si origina il Ghiacciaio del Monte Bianco, tra il Rocher de la Tournette e il Monte Bianco di Courmayeur, due aerei della compagnia Air India si schiantarono tragicamente a distanza di sedici anni l’uno dall’altro. Il 3 novembre 1950, il Malabar Princess, un quadrimotore Lockheed Constellation L 749 operante sulla linea Bombay-Londra si apprestava ad affrontare la discesa verso Ginevra dove era prevista una sosta intermedia. L’aereo era pilotato dal comandante inglese Alain R. Saint che ben conosceva la rotta. L’ultimo contatto radio avvenne alle 10.43, quando la torre di controllo di Grenoble ricevette una comunicazione dal comandante che riferiva di trovarsi sulla verticale di Voiron a 4700 m. di quota. Da allora in poi si persero i contatti. Le pessime condizioni meteorologiche rallentarono le ricerche. Una violenta bufera di neve si protrasse per due giorni impedendo ai soccorsi di avvicinarsi al luogo del disastro.

Il 5 novembre, con il miglioramento del tempo, un aereo svizzero avvistò un’ala dell’aereo conficcata nei ghiacci del versante italiano. L’aereo si schiantò a 4677 m. d’altitudine, appena sotto la cima del Monte Bianco nei pressi del Rocher de la Tournette, della Grande Bosse e della Petite Bosse (Bosses du Dromadaire) a circa 1000 metri dalla Capanna Vallot. La neve fresca di novembre complicò l’arrivo dei soccorsi aumentando la possibilità di valanghe e dissimulando crepacci. Uno di questi fu fatale per René Payot, guida di Chamonix, che perse la vita a 100 metri dal luogo dove nel 1936, per tragica coincidenza del destino, scomparve il fratello travolto da una valanga. Non si salvò nessuno dei 48 passeggeri del volo (40 + 8 componenti l’equipaggio) e le esatte cause non furono mai accertate. Nel 2008, una studentessa inglese, al seguito del glaciologo Tim Reyd che studiava il ghiacciaio del Miage in Val Veny, dopo essersi inoltrata per 2 km tra i crepacci, trovò affiorante tra i ghiacci un contenitore blu nel cui interno erano conservate 75 lettere del 1950 tutte dirette in America. Erano parte del carico del Malabar Princess che trasportava, oltre ai passeggeri, bauli di corrispondenza. Il 15 settembre 1986, nel versante francese, sul ghiacciaio dei Bosson a 1900 m. di altitudine riaffiorò tra i ghiacci uno dei motori, e un secondo fu rinvenuto il 22 settembre del 2008, a 2000 m. sempre sullo stesso ghiacciaio.

I soccorritori all’opera

Il 24 gennaio 1966 la stessa sorte fu riservata al Boeing 707 kangchenjunga, in volo sulla tratta Bombay – New York con scali intermedi a Beirut, Ginevra e Londra. L’aereo, seguito dai radar di Milano, mentre si apprestava a sorvolare il Monte Bianco improvvisamente scomparve dagli schermi. Tramite elicotteri, i soccorritori raggiunsero rapidamente il luogo del disastro Dei 117 passeggeri non si salvò nessuno. Tra le vittime si trovava il fisico nucleare Homi Jehangir Bhabha, padre dell’atomica indiana. Nel suo cargo l’aereo trasportava 200 scimmie destinate a un laboratorio medico. Secondo le testimonianze dei soccorritori alcune sopravvissero allo schianto. Nell’estate del 1985 due alpinisti piemontesi nella loro ascesa al Monte Bianco si imbatterono nella coda del Kangchenjunga che sotto un velo luccicante di ghiaccio lasciava trasparire la silhouette di una danzatrice del ventre, simbolo della compagnia aerea. Si disse all’epoca della scomparsa dell’aereo che a bordo c’era un marajà e si fantasticò che la stiva del Boeing contenesse una grande quantità di gioielli e l’estate successiva non pochi si cimentarono tra i ghiacci in una sorta di caccia al tesoro.

Entrambi gli aerei si schiantarono quasi sulla cima e i rottami vennero disseminati dappertutto, anche oltre il confine in territorio francese. Nel lento scorrere verso valle i ghiacciai restituiscono pezzi di carlinga e delle ali, tenendo sempre vivo il ricordo di quelle tragedie.

Ascensioni

Prima ascensione

Dipinto che illustra le prime ascensioni del Monte Bianco

Dopo alcuni tentativi di ricognizione effettuati insieme alla guida valdostana Jean-Laurent Jordaney a partire dal 1784, la prima ascensione fu realizzata da Jacques Balmat, un ventiquattrenne cercatore di cristalli, e da Michel Gabriel Paccard, medico condotto ventinovenne, entrambi di Chamonix. Furono sollecitati all’impresa dallo scienziato Horace-Bénédict De Saussure, il quale era solito osservarne la vetta dalla sua casa in Ginevra. Fu proprio De Saussure a promettere nel 1760 un premio di tre ghinee a chi lo avesse scalato. Passarono 26 anni prima che il suo sogno si avverasse. L’impresa era stata preceduta da alcune ricognizioni, in una delle quali Balmat si perse e fu costretto a passare la notte nella neve, eventualità allora considerata pericolosissima, tale da non lasciar speranze, per via delle temperature.

Jacques Balmat

L’ascesa fu seguita costantemente con il cannocchiale dal barone prussiano Adolf von Gersdorff che, da un poggio sopra il paese di Chamonix, seguiva passo per passo gli spostamenti annotandoli su un diario. Secondo i resoconti, ad un certo momento della salita Balmat avrebbe voluto tornare indietro perché fortemente preoccupato per la salute della figlia di pochi giorni. Paccard, che non ne era al corrente, lo convinse a proseguire. Raggiunsero la vetta l’8 agosto 1786 alle 18.23, passando fra i Rochers Roufes, e fu Paccard il primo a calpestare la neve sulla cima dopo quattordici ore e mezza dalla partenza. Vi restarono per 34 minuti, il tempo utile per effettuare dei rilevamenti sulla pressione atmosferica, con il barometro di Torricelli e confermando così le teorie di Florin Perier (cognato di Blaise Pascal) di un secolo prima, sulla riduzione esponenziale della pressione al crescere dell’altitudine. Le misurazioni servirono anche per la prima approssimativa misurazione dell’altezza della vetta, che però fu notevolmente sovrastimata. Alle 18.57 ripartirono e dopo quattro ore raggiunsero la capanna dalla quale la mattina stessa erano partiti. Vi trascorsero la notte e rientrarono a Chamonix alle 8 del mattino dove Balmat apprese la notizia della morte della figlioletta il giorno prima, a conferma dei suoi brutti presentimenti.

Dopo aver pagato il premio promesso, anche De Saussure volle raggiungere la cima. Fu Balmat a organizzare la spedizione e a preparare due rifugi per i pernottamenti. Il 13 agosto 1787, accompagnato dal servitore personale e da 17 guide trasportavano cibo, bevande, scale a pioli, un letto, una stufa e un laboratorio scientifico (igrometri, barometri, termometri), lo scienziato ginevrino coronò il suo sogno.

Anche il re di Sardegna Vittorio Amedeo III di Savoia, fiero per l’impresa del suo suddito, riconobbe a Balmat un premio in denaro e il diritto di posporre al nome l’appellativo «detto Mont Blanc».

Paccard, a causa di invidie, venne ben presto dimenticato. Fu lo scrittore ginevrino Marc Théodore Bourrit a diffamarlo e screditarlo e a insistere nel voler attribuire al suo compagno tutto il merito dell’impresa, nonostante lo stesso Balmat, in una dichiarazione giurata, pubblicata sulla Gazzetta di Losanna, avesse dichiarato il contrario. La relazione che Paccard preparò per la stampa in sua difesa non venne mai pubblicata e gli fu impossibile difendersi dalla campagna di diffamazione nei suoi confronti.

Per molto tempo, il mondo scientifico considerò De Saussure come primo conquistatore del Monte Bianco, riducendo il ruolo di Balmat a quello di guida. Soltanto dopo il ritrovamento del diario del barone A. von Gersdorff agli inizi del Novecento e successivamente di altri documenti, il primato sarà definitivamente riconosciuto a Paccard.

Prima ascensione invernale

I tempi eroici dell’alpinismo

La prima ascensione invernale assoluta fu compiuta il 31 gennaio 1876 da Miss I. Straton, Jean Charlet, Sylvain Coutlet, per i Grand Mulets e la cresta delle Bosses.

La prima traversata invernale fu compiuta il 5 gennaio 1887 da Alessandro, Corradino, Erminio e Vittorio Sella, Émile Rey, Jean Joseph, Baptiste e Daniel Maquignaz, e due portatori. Salirono per la via dei Rocher de la Tournette e discesero dai Gran Mulets in giornata.

Prima ascensione femminile

La prima donna a raggiungere la cima fu Marie Paradis il 14 luglio 1808 accompagnata dal figlio Gédéon di 14 anni e da Jacques Balmat come guida. L’impresa le valse l’appellativo di Marie du Mont Blanc. La seconda ascensione femminile è invece stata compiuta da Henriette d’Angeville il 4 settembre 1838, mentre la prima donna a fare la scalata durante il periodo invernale è stata Mary Isabella Stratton insieme a Jean Charlet, Sylvain Coutlet e Michel Balmat. A Marguette Bouvier, nel 1929, si deve la prima discesa con gli sci fatta da una donna.

Economia e infrastrutture

Turismo

Con 15 milioni di presenze turistiche all’anno, il Monte Bianco è uno dei luoghi più visitati delle Alpi. Sin dai secoli passati, il richiamo generato dalle bellezze delle montagne e delle valli che lo circondano è sempre stato notevole. A partire dal 1741, i racconti degli aristocratici inglesi William Windham e Richard Pococke sul loro viaggio sul Mare di Ghiaccio si diffusero in tutta Europa destando grande curiosità. In breve tempo, ricchi turisti, per la maggior parte inglesi, giunsero negli sperduti centri montani del Regno di Sardegna per ammirare i misteriosi ghiacciai e le vette delle montagne inviolate. Quei villaggi montani sono considerati uno dei luoghi dove il turismo stesso è nato. Dapprima il turismo invernale e poi in seguito anche quello estivo come diretta conseguenza dell’inattesa corsa alla conquista delle impervie e inviolate vette.

L’inaugurazione del primo albergo a Chamonix nel 1770 diede inizio allo sviluppo dell’industria alberghiera. Seguirono gli alberghi di lusso e insieme a Courmayeur divennero luoghi di villeggiatura tra i più ricercati, frequentati da nobili, scrittori, scienziati e dai primi alpinisti, prima ancora che il turismo diventasse un fenomeno di massa.

Rifugi

I rifugi e bivacchi utilizzati per le ascensioni al Monte Bianco sono:

  • Bivacco della Brenva, 3.060 m
  • Bivacco Corrado Alberico – Luigi Borgna, anche detto bivacco della Fourche, 3.674 m
  • Bivacco Marco Crippa, 3840 m
  • Bivacco Giuseppe Lampugnani, anche detto bivacco Eccles, 3.860 m
  • Capanna Vallot, 4.362 m
  • Rifugio des Cosmiques, 3.613 m
  • Rifugio Francesco Gonella, 3.071 m
  • Rifugio del Goûter, 3.817 m
  • Rifugio dei Grands Mulets, 3.051 m
  • Rifugio Monzino, 2.590 m
  • Rifugio Quintino Sella, 3371 m

Guide alpine

Il logo della Società Guide Alpine Courmayeur

L’ambiente del Monte Bianco, per la sua vastità e per la sua importanza storica, essendo meta di esploratori ed alpinisti dalla fine del Settecento, diede un grande impulso alla nascita del mestiere di guida alpina. Qui nacquero le prime società di guide:

  • la Compagnie des guides de Chamonix, nata il 24 luglio 1821, è stata la prima società di guide al mondo. Il 9 maggio 1823 tramite un manifesto della Camera dei deputati di Torino, il re di Sardegna, Carlo Felice di Savoia, ne rendeva ufficiale la sua creazione.
  • la Società Guide Alpine Courmayeur, nata nel 1850, è stata la prima società di guide alpine italiana e la seconda al mondo dopo quella di Chamonix. La sua storica sede divenne nel 1929 un museo: il Museo alpino “Duca degli Abruzzi” dove sono raccolti importanti cimeli provenienti da spedizioni non solo nel massiccio del Monte Bianco ma anche in Tibet, nell’Himalaya, in Africa, in India. Le guide si distinsero durante i primi tentativi effettuati per raggiungere la vetta del Bianco partendo da Courmayeur, ma anche durante le scalate sul Cervino dove furono protagoniste con Jean-Antoine Carrel e Jean-Joseph Maquignaz.

La Funivia dei Ghiacciai

La Funivia dei Ghiacciai

A La Palud, nelle vicinanze di Courmayeur, ha inizio il percorso della funivia del Monte Bianco. In poco meno di un’ora si può raggiungere Chamonix, in Francia, scavalcando completamente la catena delle Alpi. Inizialmente, venne concepita per scopi prevalentemente militari. Venne inaugurata nell’estate del 1947 ed è suddivisa in sei diversi tronconi:

  1. da La Palud si raggiunge il Pavillon di Monte Frety a quota 2175 m. slm;
  2. si prosegue per arrivare al Rifugio Torino presso il Colle del Gigante a quota 3330 m. slm;
  3. si continua dal Colle del Gigante fino a Punta Helbronner a quota 3462 m.slm. Da questo punto si può godere di una vista su tutto l’arco alpino: dalla cima del Monte Bianco al Dente del Gigante, ai celebri 4000 d’Europa come il Cervino, il Monte Rosa, la Grivola, il Gran Paradiso;
  4. continuando da Punta Helbronner si prosegue verso l’Aiguille du Midi, il punto più alto, a quota 3842 m. slm;
  5. dall’Aiguille du Midi è possibile scendere al Plan de l’Aiguille, a 2137 m. slm e
  6. infine si arriva a Chamonix.

La funivia è stata ultimata negli anni Sessanta del secolo scorso e presenta alcune soluzioni tecniche uniche, come il pilone sospeso. Secondo alcuni si tratta dell’ottava meraviglia del mondo.

Recentemente, sono stati effettuati lavori di ristrutturazione dell’intera tratta italiana con la costruzione di una nuova stazione di partenza e l’eliminazione di quella presso il Rifugio Torino, oltre alla sostituzione delle cabine con altre più moderne e sicure. I lavori sono stati avviati il 10 aprile 2012 e sono terminati il 29 maggio 2015. Il 30 maggio 2015 la funivia ha riaperto al pubblico con la nuova denominazione di SkyWay Monte Bianco.

La protezione del Monte Bianco

L’afflusso di un numero elevatissimo di turisti, sebbene rappresenti una ricchezza dal punto di vista economico, è di per sé un pericolo per l’ambiente. Le comunità valdostane, savoiarde e vallesi, con l’aiuto delle regioni e degli Stati interessati, con un approccio transfrontaliero alle problematiche relative alla protezione e valorizzazione del territorio hanno trovato un accordo per dar vita al progetto Spazio Monte Bianco. Questa iniziativa coinvolge 35 comuni tra Savoia, Alta Savoia, Valle d’Aosta e Vallese ed è coordinato dalla Conferenza Transfrontaliera Monte Bianco. Sotto la presidenza di uno dei ministri dell’Ambiente, la Conferenza riunisce per ciascuna nazione 5 rappresentanti dello Stato e delle collettività territoriali. Complessivamente lo Spazio Monte Bianco occupa una superficie di circa 2800 km² e compende 15 comuni in Savoia e Alta Savoia, 5 in Valle d’Aosta e 15 nel Vallese. In totale, l’intera area interessata conta circa 100.000 abitanti. Recentemente, il sito del Massiccio del Monte Bianco è stato candidato presso l’UNESCO per essere classificato come Patrimonio dell’umanità.

Il Traforo del Monte Bianco

L’imbocco del Traforo del Monte Bianco a Courmayeur

Il Traforo del Monte bianco è un tunnel autostradale che collega Courmayeur in Valle d’Aosta (Italia) a Chamonix-Mont-Blanc in Alta Savoia (Francia). È stato costruito congiuntamente tra i due paesi interessati.

I lavori di costruzione ebbero inizio nel 1957 e terminarono nel 1965, anno dell’apertura. È composto da una galleria unica a doppio senso di circolazione e costituisce una delle maggiori vie di trasporto transalpino. La sua lunghezza è di 11,6 km. e la parte più lunga rimane in territorio francese: 7.640 metri, con 3.960 metri in Italia. L’altitudine è di 1381 m. slm all’imbocco in Italia ai piedi del Ghiacciaio della Brenva, a metà galleria tocca i 1395 m. slm per scendere poi a 1271 m. slm sul versante francese, ai piedi del Ghiacciaio dei Bossons. Il piano stradale del tunnel non è orizzontale, ma presenta una forma concava per facilitare il deflusso dell’acqua.

Rispetto alla frontiera, il traforo passa esattamente sotto la verticale dell’Aiguille du Midi, dove lo spessore di copertura granitica raggiunge i 2.480 metri, misura record per le gallerie autostradali e ferroviarie. La sua altezza è di 4,35 metri e la sua larghezza di 8 (2 x 3,5 per le corsie e 2 x 0,5 di passaggio laterale). Il raddoppio del tunnel, già progettato, non è mai stato realizzato per l’opposizione degli abitanti delle valli interessate, preoccupati per un eccessivo aumento della circolazione dei camion e del conseguente inquinamento.

Il traforo venne inaugurato il 19 luglio 1965 e la sua gestione, su base paritetica, è divisa tra due società concessionarie: l’italiana S.I.T.M.B. (Società Italiana per il Traforo del Monte Bianco), creata il 1° settembre 1957 e la francese A.T.M.B. (Autoroutes et Tunnels du Mont-Blanc), creata il 30 aprile 1958. Per lungo tempo è rimasto il tunnel autostradale più lungo al mondo. Dal 1965 al 2004 vi hanno transitato 45 milioni di veicoli, con una media giornaliera di 17.745.

I laboratori del Monte Bianco

Un altro aspetto meno conosciuto del Monte Bianco è quello di studio e di ricerca.

L’Osservatorio Vallot. Il laboratorio fu costruito nel 1890 a quota 4365 m. slm, a circa 450 metri dalla cima

All’interno della montagna infatti si trovano dei laboratori molto importanti gestiti dall’Istituto di Fisica dello Spazio Interplanetario del CNR di Torino, che lavora in collaborazione con l’INFN (Istituto Nazionale di Fisica Nucleare) di Frascati (Roma) e l’Università di Milano. In questi laboratori si conducono ricerche sui raggi cosmici e sono serviti da prototipo per altri due famosi laboratori: quello sotto il Gran Sasso, negli Appennini centrali, costruito successivamente, e il laboratorio gestito dal CERN di Ginevra che studia le particelle elementari.

In passato si cercò di costruirne anche sulla cima. Nel 1891, lo scienziato francese Pierre Janssen si adoperò per costruire un centro di osservazione sulla vetta, nella speranza di effettuare in modo ottimale misure e ricerche sullo spettro solare. La mancanza di fondamenta solide e i movimenti continui del ghiaccio sulla calotta sommitale indussero gli scienziati ad abbandonarlo nel 1906, dato che era divenuto pericolante.

Nel 1890, sul versante francese, a quota 4365 m. slm, il botanico e meteorologo Joseph Vallot costruì uno chalet laboratorio a vocazione pluridisciplinare, tra cui l’astronomia: l’Osservatorio Vallot.

Il Monte Bianco nell’arte e nella cultura

La prima pagina della poesia Mont Blanc di Percy Bysshe Shelley nell’edizione originale

Con la nascita dell’alpinismo nacque il genere letterario di montagna. Il clamore destato dalla conquista del Bianco attirò nelle sue valli agli inizi dell’Ottocento poeti, scrittori e pittori.

Dall’Inghilterra e dal Nord Europa gli aristocratici in viaggio per il Grand Tour visitarono le montagne alpine, mentre grandi alpinisti come Albert Frederick Mummery, William Auguste Coolidge e Edward Whymper scalarono vette su vette scrivendo poi libri nei quali raccontavano le loro imprese. I romantici inglesi si innamorarono delle Alpi. Samuel Taylor Colerigde scrisse un inno la Monte Bianco e Percy Bysshe Shelley, dopo aver ammirato la montagna affermò;

Non sapevo, non avevo mai immaginato prima cosa fossero le montagne

e scrisse Mont Blanc, una delle sue poesie più famose.

Cinema e televisione

  • La rosa sulle rotaie, (La rue), (1923) : film della durata di 273 m di Abel Gance su una famiglia della Francia orientale.
  • Tempeste sul Monte Bianco (Stürme über dem Mont Blanc), (1930), con Leni Riefenstahl come attrice e Arnold Fanck come regista: tratta di Hannes, uno scienziato che lavora nell’osservatorio del Monte Bianco.
  • Premier de cordée, (1943): il film tratta di Pierre Servettaz, un giovane aspirante guida di montagna il quale, nonostante un incidente che sconvolge i suoi progetti e la sua carriera, riesce tra tante difficoltà a raggiungere i suoi obiettivi. È basato su un racconto dell’esploratore Roger Frison-Roche.
  • La montagna, (1956) di Edward Dmytryk, con Spencer Tracy e Robert Wagner: il film è ispirato al disastro aereo del Malabar Princess nel 1950.
  • La Terre, son visage, (1984): documentario di Jean-Luc Prévost prodotto per la televisione francese. Fa parte della serie Haroun Tazieff racconta la sua terra, vol. 1.
  • Malabar Princess (2004), di Gilles Legrand con Jacques Villaret e Michele Laroque: il film racconta il tragico incidente aereo avvenuto nel 1950 sulla cima del Monte Bianco.
  • Monte Bianco – Sfida verticale (2015), reality show italiano in cui i concorrenti guidati da guide alpine cercano di raggiungere la vetta del Monte Bianco.

Nella letteratura

  • Storia di una escursione di sei settimane, di Percy Bysshe Shelley e Mary Shelley.
  • Kordian, di Juliusz Słowacki (1809-1849).
  • Mont Blanc di Percy Bysshe Shelley.
  • La legenda dei secoli (1877), di Victor Hugo (1802-1885)[114].
  • Tartarino sulle Alpi (1885), di Alphonse Daudet (1810-1897).
  • Quarantième ascension française au Mont-Blanc, di Jules Verne (1828-1905).
  • Premier de cordée, di Roger Frison-Roche (1906-1999).
  • Hugo et le Mont Blanc, di Colette Cosnie.
  • Hymn Before Sunrise, in the Vale of Chamouni, di Samuel Taylor Coleridge.
  • Frankenstein, Frankenstein il moderno Prometeo, di Mary Shelley.
  • Point Blanc, di Anthony Horowitz.
  • The Prelude Book VI, di William Wordsworth.
  • Remember Me?, di Sophie Kinsella.
  • La Littérature alpine, di Claire-Éliane Engel (1903-1976).
  • Freney 1961, Un Viaggio Senza Fine, di Marco Albino Ferrari.
  • Naufragio sul Monte Bianco – La Tragedia di Vincendon ed Henry, di Yves Ballu.

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