FIE Italia

Federazione Italiana Escursionismo

Il nuovo sito della FIE

Si ricorda che a partire dal 1 agosto 2022
è attivo il nuovo sito della FIE: fieitalia.it.

Tutti i contenuti recenti possono essere visualizzati
solo all'indirizzo nuovo.

Questo sito resterà attivo fino al completamento
del trasferimento degli archivi al nuovo indirizzo.

I ghiacciai

Un ghiacciaio, in glaciologia, è una grande massa di ghiaccio delle regioni montane e polari, che appartiene alle formazioni nevose perenni, che si è adunata egli avvallamenti, formandosi dalle nevi sotto l’azione del gelo e che scorre lentissimamente verso il basso per gravità.

Si ritiene che 20.000 anni fa i ghiacciai coprissero circa il 32% delle terre emerse. Da questo punto di vista, i ghiacciai attuali possono essere visti come un residuo delle precedenti ere glaciali. Attualmente occupano il 10% della superficie terrestre e costituiscono di gran lunga il più grande serbatoio di acqua dolce del pianeta. Le più grandi distese di ghiaccio sono le calotte glaciali di Groenlandia e Antartide seguite dai ghiacci continentali.

Perché si cominci a formare un ghiacciaio, è necessario che la quantità di neve che cade e che si accumula nell’arco di un anno superi la quantità di neve che viene persa per fusione o per sublimazione, cioè che vi sia un effettivo accumulo perenne nell’intero anno. Questo avviene nelle zone polari e di alta montagna, dove la temperatura rimane bassa per tutto l’anno e le precipitazioni nevose sono abbondanti. La neve si accumula nel tempo al di sopra di una quota detta “limite delle nevi permanenti”, mentre a quote più basse generalmente tutta la neve si fonde nel corso dell’anno.

Il limite delle nevi perenni dipende sia dalla temperatura che dall’intensità delle precipitazioni nevose. All’equatore è di circa 4500 m. slm, mentre verso i poli si abbassa fino al livello del mare. Sulle Alpi varia tra i 3100 m. slm della Valle d’Aosta, dove le precipitazioni sono più scarse, e i 2500 m. slm del Friuli, dove invece sono più abbondanti.

Al di sopra del limite delle nevi perenni, i fiocchi di neve soffici e leggerissimi a causa dell’inclusione di grandi quantità di aria (la loro densità è di 0,18937246 g/cm³) con il tempo si accumulano e si compattano sotto l’azione combinata del proprio peso e del processo di metamorfismo dei cristalli di ghiaccio. Queste due azioni portano a espellere l’aria contenuta negli interstizi e a formare aggregati via via più densi: prima la neve granulare (0,3 g/cm³) e poi, dopo un’estate, il firn (0,5 g/cm³).

La completa trasformazione in ghiaccio (0,9 g/cm³) è un processo ancora più lento che può richiedere anche più di 100 anni e avviene per compattazione della neve sotto accumuli di decine di metri di spessore.

Nei ghiacciai delle zone temperate il processo è accelerato dall’eventuale fusione della neve durante il giorno e dalla successiva trasformazione dell’acqua formatasi direttamente in ghiaccio, per congelamento, durante la notte. Occorrono comunque in media cinque anni perché si formi ghiaccio sotto un accumulo di neve spesso una ventina di metri.

La parte superiore di un ghiacciaio è il bacino collettore, separato dalla linea d’equilirbio dall’area di ablazione, dove avviene la riduzione della massa glaciale per fusione o evaporazione. Normalmente l’area di ablazione assume una forma allungata, detta lingua glaciale. La parte più bassa della lingua glaciale prende il nome di fronte del ghiacciaio ed è spesso sorgente, con le sue acque fuse, di torrenti di montagna e/o laghi montani d’altura (lago proglaciale). Le caratteristiche geomorfologiche dei ghiacciai sono dovute essenzialmente al loro scorrimento verso il valle: la forza di gravità causa la spinta verso il basso e l’attrito delle rocce vi si oppone generando così crepacci, seracchi e morene.

Il Ghiacciaio dell’Aletsch (Svizzera), il più esteso delle Alpi

Si possono distinguere due tipi di ghiacciaio:

  • calotte glaciali continentali o regionali (definite anche con il nome norvegese inlandsis);
  • ghiacciai montani o locali che, a loro volta si possono sommariamente distinguere in:
    • alpini: formati da un solo bacino collettore (zona di accumulo) e da una sola lingua glaciale;
    • pirenaici: di forma circolare o semicircolare senza una lingua glaciale evidente;
    • scandinavi: formati da un solo bacino collettore da cui defluiscono più lingue glaciali sui versanti opposti del rilievo su cui sono posti;
    • himalayani: formati da due o più bacini collettori che danno luogo a lingue glaciali distinte che confluiscono in una sola lingua generalmente di notevole estensione;
    • andini: simili a quelli pirenaici e a calotta, ma di estensioni e spessori maggiori;
    • alaskani: derivano dalla confluenza di più lingue glaciali che percorrono valli più o meno parallele e che si saldano fra loro allo sbocco vallivo sino a formare un unico grande corpo glaciale;
    • patagonici: scendono spesso al livello del mare/oceano;
    • equatoriali: presenti su alcune cime delle Ande equatoriali, in Africa sui monti Kilimanjaro, Kenya e Ruwenzory e in Indonesia sul Puncak Jaya.

Il Ghiacciaio del Cevedale visto dalla Val Martello

I ghiacciai tendono a muoversi verso valle. Mentre il nucleo del ghiacciaio scorre verso altitudini inferiori, ogni punto del ghiacciaio può spostarsi in misura e direzione diverse. Il moto complessivo è dovuto alla forza di gravità e la velocità di scorrimento in ogni parte del ghiacciaio è condizionata da molteplici fattori.

Il ghiaccio in generale si comporta come un solido fragile se il suo spessore non raggiunge i 50 m., altrimenti è assimilabile a un fluido ad elevata viscosità specie su pendenze sensibili. La pressione sul ghiaccio è responsabile del flusso plastico in misura maggiore rispetto alla profondità. Il ghiaccio è costituito da strati di molecole sovrapposti, con legami relativamente deboli tra di essi. Quando la forza peso esercitata dallo strato superiore controbilancia la forza di legame tra uno strato e l’altro, lo strato superiore si muove più velocemente di quello inferiore.

Un altro tipo di movimento, tipico dei ghiacciai in zone temperate, è lo slittamento basale. In questo processo, l’intero ghiacciaio si sposta sul terreno su cui poggia, lubrificato dall’acqua di disgelo. Dal momento che la pressione cresce verso la base del ghiacciaio, il punto di fusione dell’acqua si abbassa e il ghiaccio si fonde. Anche l’attrito tra il ghiaccio e la roccia e il calore geotermico proveniente dall’interno della Terra contribuiscono alla fusione del ghiaccio. Il flusso di calore geotermico aumenta al crescere dello spessore del ghiacciaio.

Il moto verso il basso e l’azione di attrito del ghiaccio sul substrato roccioso sottostante sono causa di erosione (esarazione) che tende a scavare la roccia in valli tipiche a forma di “U”, circhi glaciali e a formare detriti morenici e massi erratici ai bordi e nel fondo del ghiacciaio stesso.

Il fisico italiano Carlo Somigliana

Per calcolare la velocità superficiale di un ghiacciaio può essere utilizzata la legge di Somigliana, introdotta dal fisico italiano Carlo Somigliana (Como, 1860 – Casanova Lanza, 1955). La velocità, infatti, dipende in modo diretto dallo spessore del ghiacciaio considerato, dalla presenza di acqua tra il ghiaccio e il letto roccioso, oltre che dall’inclinazione, dalla morfologia e dall’asperità del fondo. Si è giunti a una formula che contempla anche lo sforzo di taglio basale, ovvero la componente dello sforzo parallela alla superficie del letto roccioso. Inoltre, la velocità dipende anche dalla densità del ghiaccio, dal suo spessore e dall’accelerazione di gravità.

dove p rappresenta la densità del ghiaccio, μ il coefficiente di viscosità del ghiacciaio, α l’angolo di inclinazione del fondo roccioso, mentre ed sono rispettivamente il semiasse inferiore e il semiasse verticale della semiellisse che forma la sezione trasversale del ghiacciaio (semlarghezza e spessore).

Questa legge può essere impiegata anche per calcolare lo spessore del ghiacciaio, conoscendone la velocità di spostamento o la pendenza della parete rocciosa sottostante. La misura dello spessore viene oggi misurata in modo diretto, per mezzo di perforazioni (metodologia che presenta costi elevati), o indirettamente, per mezzo di sondaggi geofisici che sfruttano la propagazione di onde elettromagnetiche (prospezione geofisica).

Un crepaccio nel ghiacciaio del Großglockner (Austria)

Negli ultimi decenni, con lo sviluppo delle teorie sul riscaldamento globale, è stato sollevato il problema che i ghiacciai della Terra sarebbero a rischio di estinzione. L’aumento della temperatura globale può infatti aumentare sensibilmente la quota delle nevi perenni e anche determinare una fusione più rapida del manto nevoso. A essere più a rischio sono i piccoli ghiacciai, soprattutto nelle Alpi o nelle catene montuose moderatamente elevate e poste a medie o basse latitudini, dal momento che essi hanno un equilibrio decisamente più fragile rispetto a quelli himalayani o del Polo Sud.

Un arretramento dei ghiacciai di tali latitudini, unito anche a una diminuzione del loro spessore, è stato più volte rilevato. Proprio per questa sensibilità i climatologi hanno spesso considerato i ghiacciai come termometri della temperatura media globale.

In particolare, i ghiacciai delle medie latitudini si dimostrano particolarmente sensibili alle ondate di calore durante la stagione estiva, pur in un contesto di media termica nella norma sul lungo periodo. Il ghiaccio fuso, infatti, non torna neve se il successivo ripristino delle medie termiche attraverso la compensazione avviene con un periodo freddo, ma secco, ovvero senza precipitazioni nevose.

Per ridurre il processo di fusione sono stati effettuati esperimenti di copertura di alcuni ghiacciai alpini con dei teli bianchi attraverso opere di geoingegnaria. Questi esperimenti hanno avuto esito favorevole.

Turismo e ghiacciai

Alle medie latitudini alcuni ghiacciai dalle caratteristiche geomorfologiche opportune sono utilizzati a scopo turistico per la pratica dello sci estivo. Alcuni esempi in Europa sono dati dal ghiacciaio Presena nel Gruppo dell’Adamello e della Presanella; dal ghiacciaio del Livio sopra lo Stelvio; dal ghiacciaio del Siedel in Alta Val Formazza; dal Plateau Rosà sul Cervino; dal ghiacciaio del Vorab e dal ghiacciaio di Fee in Svizzera; dal ghiacciaio della Grande Motte a Tignes e da quello della Lauze a Les-Deux-Alpes in Francia; dal ghiaccio di Sölden in Austria.

Una volta si sciava anche sui ghiacciai di Indren sul Monte Rosa, sul ghiacciaio della Marmolada, su quello del Sommeiller sotto la Punta Sommellier a Macugnaga, ma i mutamenti climatici in atto hanno reso inidonei questi ghiacciai.

Fonte:

FIE Italia © 2017 • Via Imperiale 14 • 16143 Genova GE