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Parlando di meteorologia e cambiamento climatico con il prof. Mercalli – Parte seconda

Ecco la seconda puntata della trascrizione della conferenza del prof. Luca Mercalli (23 giugno scorso). Il tema è quello del cambiamento climatico.

Vai alla prima parte

Per parlare del tema del cambiamento climatico, partiamo da un dato di attualità. Tre giorni fa, in Siberia, si è toccata la  temperatura di 38 gradi. È la temperatura più alta mai registrata in Siberia, a Verkojansk. Questi dati ci fanno ormai capire che tutto il pianeta si sta riscaldando. Lo sta facendo da un secolo, ma con una forte accelerazione negli ultimi trent’anni. Da trent’anni le temperature battono un record dopo l’altro e quasi tutti gli anni sono un po’ più caldi di quello prima. Ci sono piccole oscillazioni tra un anno e l’altro, per cui non sono perfettamente in sequenza. Non è che i 2018 è più caldo del 2017 e il 2019 è più caldo del 2018.C’è una piccola oscillazione. Il 2016 finora è stato l’anno più caldo per tutto il pianeta, ma il 2017, 18 e 19 sono tutti a distanza di decimi, poca differenza.

Questo perché sta succedendo? Perché da quando abbiamo iniziato la Rivoluzione industriale, cioè dalla fine del Settecento, inizio dell’Ottocento, abbiamo iniziato a bruciare i combustibili fossili: prima il carbone, poi è arrivato il petrolio, poi il gas, adesso li usiamo tutti e tre. I combustibili fossili se ne stavano buoni buoni sotto terra da milioni di anni. È chiaro che se noi li bruciamo quello che c’era dentro va nell’aria, che è prevalentemente CO2, anidride carbonica. L’anidride carbonica non è un inquinante, nel senso di un qualcosa che fa male alla salute; l’anidride carbonica noi la produciamo respirando, ma quella non ha effetti sul clima, perché deriva dal cibo e deriva dalla fotosintesi. Quella che ha effetti sul clima è quella che deriva dal materiale fossile, perché la aggiungiamo, perché se stava sottoterra non partecipava agli scambi con l’atmosfera. Bruciandola va in atmosfera e si aggiunge a quella che già c’era. Questo aumenta l’effetto serra. L’effetto serra è quel meccanismo naturale per cui la terra sta tiepida al punto giusto per la vita (circà 15°) grazie proprio alla pellicola dei gas a effetto serra, che se non ci fossero genererebbero un pianeta gelido. Se non avessimo l’effetto serra normale la terra sarebbe ricoperta completamente di ghiaccio. Anche gli oceani sarebbero tutti ghiacciati. Grazie a un effetto serra che ha deciso la natura che fosse di un certo tenore, noi abbiamo 15° circa. Ma se aggiungiamo CO2 la temperatura aumenta, esattamente come se aggiungessimo una coperta. Se mettiamo una coperta sul letto, sotto fa più caldo. E noi aggiungiamo una coperta, che è una coperta invisibile, è una coperta chimica, ma fa lo stesso effetto. Più ne mettiamo, più sotto fa caldo. Questo ha già fatto salire la temperatura “media” del pianeta di circa 1° nell’ultimo secolo.

Un grado vi sembra poco, ma è tanto per un intero pianeta, è un’enormità. Esattamente come per un corpo umano, un grado è un’enormità. Un grado in più per un corpo umano vuol dire avere la febbre, vuol dire avere circa 38. Stiamo già malino, prendiamo la tachipirina e ci mettiamo a letto. Se aggiungiamo cinque gradi a un corpo umano, kaputt! Con cinque gradi si va a 42 e il corpo umano muore. Ecco, vedete, più o meno i limiti sono gli stessi. Piccole variazioni che così a pelle non ci sembrerebbero importanti, perché noi siamo abituati a vivere sbalzi termici fuori, ma non dentro di noi. Per il pianeta è la stessa cosa. Un grado sta già creando un sacco di problemi.

Qualcuno di voi che fa escursionismo in zone alpine dove ci sono i ghiacciai lo sa bene. Basta che guardi com’erano i ghiacciai cento anni fa e li guarda oggi (bastano delle vecchie cartoline…) confronta e si accorge che il ghiaccio è sparito. Abbiamo perso il 60% del ghiaccio alpino in un secolo. È tanto, più della metà. Per chi sta in Appennino e non ci sono i ghiacciai, salvo quello piccolissimo del Calderone al Gran Sasso, comunque sia si è accorto che la neve dura di meno. Magari ci sono inverni nevosi, però basta una breve sciroccata e va via tutta e questo sta succedendo anche sulle Alpi. Chi fa sci, chi fa ciaspole, se ne accorge. Ogni tanto abbiamo degli inverni con buone nevicate, ma questi sono sempre più rari e durano di meno. Il periodo dell’innevamento è più breve. Questo è un effetto del grado in più che abbiamo in media.

Il ritirarsi del ghiacciaio dei Forni dal 1890 al 2019

Un grado possiamo visualizzarlo come circa 150 metri di dislivello. Quindi, se aggiungo un grado, è come se mi spostassi di circa 150 metri verso l’alto. E questo vuol dire che d’inverno là dove prima nevicava, oggi con un grado in più piove e la linea di differenza fra la pioggia e la neve è di 150 metri più alta. Lo stesso vale d’estate per la fusione dei ghiacciai.

Il problema, adesso, è capire quanto aumenterà la temperatura in futuro. Quella del passato ormai la conosciamo: circa un grado in più, ovvero il 60% dei ghiacciai persi sulle Alpi e il livello del mare salito di 20 centimetri nell’ultimo secolo. Non dobbiamo infatti dimenticare che i ghiaccia che fondono sulle montagne vanno nel mare e quindi ne fanno aumentare il livello.

I satelliti ci misurano circa tre millimetri e mezzo di mare in più ogni anni. E questi ci sono già, non sono dato per il futuro: 3 mm. e mezzo all’anno. Si fa escursionismo anche al mare, pensate alle Cinque Terre, certo, siamo sulla zona dell’entroterra montuosa, ma chi va in spiaggia lo sa benissimo, ma chi va in spiaggia conosce benissimo il sempre più frequente fenomeno dell’erosione costiera. Il mare un pochino più alto cosa fa? Si mangia la spiaggia. Coste rocciose ne risentono un po’ meno, ma tutte quelle sabbiose vengono pian piano esaurite.

Acqua alta a Venezia

L’aumento del livello del mare è un grande problema perché minaccia le zone turistiche e zone abitate come Venezia. Venezia quest’anno ha avuto una colossale acqua alta, il 12 novembre. Vi ricorderete le immagini dei telegiornali. SI è trattato della seconda acqua alta più elevata della sua storia; la prima è stata quella del 4 novembre 1966. Ebbene, le acque alte sopra il metro a Venezia sono aumentate di dieci volte rispetto al passato. Come mai? In parte perché Venezia sprofonda e questo è un problema tipicamente suo, di tipo geologico, ma anche perché i mari stanno aumentando di livello. Questi quasi venti centimetri in più, ecco una bella branca – diciamo qui in Piemonte – fanno sì che tutte le maree, le acque alte quando c’è il forte scirocco, sono venti centimetri più alte e quindi è più facile che inondino piazza San Marco, i monumenti e così via.

Vediamo ora gli scenari futuri in base alle previsioni.

Abbiamo davanti a noi due grandi scenari. Uno è quello migliore, quello dove si cura questo malanno, quello dove si prendono delle decisioni politiche e delle decisioni individuali per ridurre in sostanza l’uso del petrolio e del carbone, inquinare di meno e ridurre il riscaldamento. Questo scenario, quello prudente, ci dice però che, dato il tempo perso nei decenni precedenti, visto che non abbiamo fatto nulla (il problema climatico è noto da quasi cento anni. È stato scoperto più di cento anni fa, ma diciamo che da una buona cinquantina di anni è ormai un problema noto anche al livello politico. Ma non si è voluto fare niente per non penalizzare l’economia). Il risultato è che, anche se oggi applicassimo alla lettera tutto quello che la scienza ci chiede di fare per ridurre le emissioni – ed è quello che sta scritto nell’accordo di Parigi – noi riusciremmo a ridurre l’aumento del riscaldamento a fine secolo a circa 2°, ma non ad azzerarlo. Un po’ come dire: 2° non ce li leva nessuno. Uno lo abbiamo già preso, un altro deve ancora arrivare nei prossimi ottant’anni, sempre nel caso migliore, nel caso in cui agiamo subito.

Riprendiamo l’esempio del corpo umano di prima: siamo già a 38, dobbiamo aggiungere ancora un grado. Ciò vuol dire che nel migliore dei casi si va a 39°. I nostri figli, i nostri nipoti vivranno con un corpo a 39°, con una forte febbre, ma una forte febbre è fastidiosa ma non letale.

Andamento delle temperature negli ultimi duemila anni

Se non si fa niente, cioè se non applichiamo misure di contenimento dell’inquinamento, non consideriamo l’accordo di Parigi – che peraltro ancora non è in vigore, bisogna ricordarlo. Doveva essere discusso quest’anno,  ma la crisi del virus ha fermato tutto, quindi se ne riparlerà l’anno prossimo – avremo il caso peggiore, cinque gradi in più. Cinque gradi in più a fine secolo vuol dire vivere in una situazione analoga a quella di avere 42° di febbre. Questo è lo scenario peggiore, quello catastrofico, quello che vorremmo evitare per i nostri figli e per i nostri nipoti. Ecco quello che l’accordo di Parigi chiede: iniziare subito una cura dimagrante e disintossicante della nostra economia globale in modo da abbassare le emissioni di gas effetto serra e contenere questo aumento termico sotto i 2 gradi; e non rischiare di finire a 5°, perché in questo caso diventa tutto più estremo: più estremi gli eventi dannosi, alluvioni, tornado, uragani. Il livello del mare si alzerebbe di un metro e 20 con 5 gradi, mentre con 2 gradi l’innalzamento sarebbe solo di mezzo metro. Però quel mezzo metro c’è. Su quello bisogna ormai adattarsi, ma meglio mezzo metro che un metro e 20. Quindi, applicare prima possibile tutte le richieste dei governi per ridurre l’inquinamento, per passare alle energie rinnovabili, per usare meno petrolio, meno carbone, viaggiare meno in aereo, usare speriamo la macchina elettrica, la bici elettrica, i pannelli fotovoltaici, i pannelli per l’acqua calda, tutto quello che ci può far da un lato risparmiare energia, perché ne sprechiamo molta e dall’altro quello che ci serve per produrla con metodi rinnovabili. Tutto ciò permetterebbe di abbassare la quantità di CO2 e restare nei 2° di aumento della temperatura e nel mezzo metro di innalzamento del livello del mare. invece che in 5° e in un metro e 20 di incremento. 

I problemi sono molto diversi, Problemi che lasciamo in eredità soprattutto ai nostri più giovani, alle nuove generazioni. Un bambino di oggi vivrà queste cose. Noi un po’ più attempati ne vedremo i primi effetti; in parte li stiamo vedendo, ma ne vedremo di meno. vedremo meno danni. Chi invece vivrà nella seconda parte di questo secolo vedrà effettivamente un mondo diverso, che rischia di essere invivibile, almeno in alcune zone. Questo genererà delle enormi migrazioni di popoli. Pensiamo al livello del mare: se aumenterà di un metro, qui da noi avremo Venezia da spostare, ma c’è ad esempio il Bangladesh, centinaia di milioni di persone che vivono in zone acquitrinose più o meno a livello del mare; da lì andranno via tutti. Ci sono anche paesi ricchi, la Florida per esempio. Lì hanno i grattacieli e vuol dire che al piano terreno ci saranno le barche ormeggiate e si potrà vivere dal secondo piano in su. Qui stiamo facendo una battuta, ma è ovvio che stiamo parlando di un disastro. Perdiamo territorio e invece avremmo bisogno di più spazio visto che la popolazione aumenta e siamo ormai quasi otto miliardi.

Desertificazione

Inoltre, da un lato ci sarà chi avrà troppa acqua e dall’altro chi ne avrà troppo poca. Ci saranno delle zone invece che si desertificheranno, in particolare il Mediterraneo Sud, quindi tutta l’area già oggi instabile del Medio Oriente (Libano, Israele, Turchia, Egitto), più tutta la costa africana fino al Marocco. Quella costa diventerà ancora più asciutta e ancora più calda. Lì di nuovo ci sono centinaia di milioni di persone che potrebbero decidere di abbandonare il loro paese e venire dove si sta meglio. Noi stessi saremo forse indotti a emigrare, perché alcune zone del Sud Italia rischieranno di essere desertificate.

Questo è uno scenario che è giusto avere davanti a noi per capire cosa potrebbe capitare, ma è molto più importante cercare di evitare che tutto ciò si verifichi e fare tutto il possibile per rimanere nella opzione meno drastica, quella dei 2° e del mezzo metro di mare. Purtroppo è l’opzione migliore che ci resta, cioè non possiamo pensare di scendere sotto quel livello, poiché ci siamo bruciati quarant’anni di interventi che sarebbero stati possibili se avessimo agito fin da subito, dagli anni Settanta, cosa che invece non abbiamo fatto. Negli anni Settanta esisteva un’opzione. Si avevano già tutte queste informazioni, ma non si è voluto intervenire.

La pernice bianca con il manto estivo

Per chi vive il territorio, accorgersi dei cambiamenti climatici è possibile anche grazie ad altri segnali. Accorgersi dei ghiacciai è facile, perché sono lì davanti a noi, nel paesaggio. Ma forse qualcuno avrà osservato anche come cambia la vegetazione, come cambia la fauna – insetti, mammiferi… Animali e piante si stanno spostando di quota o di latitudine. Ci sono insetti nuovi che arrivano dove prima non c’erano, ci sono animali che si spostano a quote più elevante perché non possono più vivere dove da troppo caldo. Classico animale alpino che sta patendo molto questa situazione e si sposta in alto è la pernice bianca. Questo uccello cambia il piumaggio per mimetizzarsi: verso ottobre-novembre, dal suo normale color marrone diviene bianca, per mimetizzarsi dai predatori sulla neve. E se la neve non c’è? Diventa un perfetto bersaglio, questa povera pernice! Se è su un prato giallo senza neve a Natale, la pernice bella bianca è un bersaglio perfetto per i suoi predatori. Quindi, si può vedere come un animale abituato da millenni a un clima sostanzialmente stabile si trovi completamente spaesato da cambiamenti così rapidi.

La pernice bianca con il manto invernale

Un altro caso è quello della zanzara tigre, fastidiosissima e portatrice di quattro virus tropicali, tanto per restare in tema di virus. In Italia non ce l’avevamo, è arrivati con i commerci, con le navi. Ma si è moltiplicata perché ha trovato le estati calde degli ultimi quindici anni, prima non c’era. La zanzara tigre è originaria del Vietnam, vuole il caldo umido. Dopo il 2003, la Pianura padana è diventata praticamente, d’estate, un luogo tropicale, con le stesse caratteristiche: temperature di 37-40° e umidità al 60-70% in certe giornate. La zanzara tigre si è diffusa, prima non c’era. E sta entrando perfino nella zona alpina.

Altro argomento che interessa molto chi fa escursionismo è quello delle zecche: anche queste in certe zone di montagna non c’erano. Ultimamente, con i periodi invernali sempre meno freddi e le stati più lunghe e più calde – complici anche animali in soprannumero come i caprioli – la zecca si si sta diffondendo in luoghi dove prima non si adattava a vivere. Noi andavamo tranquilli a farci un’escursione o un picnic in un pascolo, ci sedevamo per terra, mangiavamo il nostro panino; adesso, se ti siedi per terra, mangi il panino, quando torni a casa ti togli le zecche, che però possono portare delle malattie infettive, delle parassitosi.

Questi sono solo alcuni degli effetti in cui il cambiamento climatico ha il suo ruolo. La mancanza in particolare di inverni molto freddi permette la risalita verso Nord – inteso sia come quota che come latitudine – di insetti e animali che prima non c’erano. Un altro esempio tipico è il geco, quella specie di lucertolone che si arrampica sui muri. Il geco, fino a una trentina d’anni fa, non superava l’Appennino emiliano. Si fermava in Italia centrale, al massimo dalla Liguria, fino a Marche e Toscana. Adesso il geco è entrato in Pianura padana: lo troviamo a Bologna, lo troviamo a Piacenza. Anche questa specie fa esperimenti. Butta l’occhio al di là di un certo confine tradizionale e vede com’è: “Ma sì, è abbastanza tiepido, caldino. Mi trasferisco”. Cosa che invece gli inverni freddi di trenta o quarant’anni fa non gli consentivano, perché non erano adatti alla sua ecologia.

Tutti questi sono segnali che possiamo percepire facilmente anche oggi. Dobbiamo pensare che lo scenario fra venti, trenta, cinquant’anni, purtroppo, non potrà fare altro che amplificarsi, peggiorare, cioè farci vedere, da un lato, dei fenomeni via via più intensi e quindi anche più gravosi per mille motivi, dall’agricoltura alla nostra salute, agli eventi estremi che poi sono quelli che generano frane, alluvioni; dall’altro, osserveremo siccità sempre più lunghe: vi potranno essere siccità lunghe anche anni, non solo mesi. E incendi boschivi, che si stanno osservando anche in aree dove prima erano rari. Siamo tutti abituati ad avere nella nostra memoria gli incendi boschivi del Sud Italia., che continueranno a esserci, e sono tipicamente estivi. La novità degli ultimi anni è rappresentata dagli incendi nelle Alpi. E questi sono autunnali e invernali. Questo perché con una siccità e temperature nuove per l’ambiente alpino, boschi che un tempo erano umidi grazie al muschio, si trovano in condizioni in cui si disseccano e diventano preda di incendi là dove prima erano molto rari.

L’incendio in Australia

Infine, si arriva a fenomeni addirittura epocali, come quello che è successo in Australia a Natale. La è bruciata una superficie più grande di quella del Belgio, con temperature che sono arrivate – temperature meteorologiche, non dell’incendio – a cinquanta gradi e con una siccità fra le peggiori del secolo. In queste condizioni, fortissima siccità, temperatura a più di 50°, gli incendi hanno trovato campo libero e hanno devastato un sacco di zone addirittura vergini, aree che in Australia erano anche completamente selvatiche, con miliardi di piccoli e grandi animali scacciati dai loro habitat e molti dei quali andati purtroppo arrosto. Questo tipo di incendi, nei prossimi decenni, lo potremo purtroppo vedere anche da noi.

Il quadro che ho descritto è magari un po’ sconfortante, forse un po’ drammatico, però questa è la realtà, la realtà scientifica. Abbiamo ancora in mano la manopola del termostato, possiamo ancora decidere di quanto girarla, di due o di cinque gradi. Per girarla solo di due, ci vuole anche un certo coinvolgimento personale, l’impegno politico non è sufficiente. Tra l’altro, l’impegno politico tutti lo invochiamo genericamente, quasi si possa scaricare il barile a qualcun altro. Nel momento in cui la politica prenderà sul serio questi problemi, cosa che ci auguriamo, questo vorrà dire anche fare delle rinunce. Vuol dire delle tasse in più, vuol dire anche degli incentivi. Per esempio, vuol dire tassare di più i consumi di petrolio; magari benzina e gasolio aumenteranno, per incoraggiare l’utilizzo dell’auto elettrica, o quello del telelavoro, come stiamo facendo noi questa sera. Prima del virus avremmo fatto una conferenza pubblica. Molti di voi avrebbero preso l’auto, sarebbero venuti verso una sala congressi, io sarei arrivato lì, in un teatro vi avrei detto esattamente quello che vi sto dicendo adesso. Macchine, parcheggi, motorini… bene, adesso stiamo facendo la stessa cosa – perdiamo qualcosina, è vero, perché non abbiamo il contatto fisico, ma ne guadagniamo due. Guadagniamo intanto perché vi siete collegati anche da luoghi molto lontani, dove prima era difficile trovarsi in un unico posto, e guadagniamo per il fatto che nessuno è uscito di casa questa sera, non avete preso l’auto, non avete preso nessun mezzo di trasporto e, salvo chi sarebbe stato molto vicino e sarebbe venuto a piedi, chiunque avesse preso la macchina avrebbe anche prodotto qualche chilogrammo di COfossile. Un litro di benzina bruciato produce circa 3 chili di CO2 e quindi è facile fare il conto con la vostra macchina. Ogni volta che facciamo dieci-quindici chilometri abbiamo prodotto quasi tre chili di CO2. Questa sera ne stiamo facendo pochissimi. Chiaro che consumiamo un po’ di corrente, anche i nostri computer e telefonini consumano, ma questa quantità è infinitamente più piccola rispetto a quella che avremmo prodotto con un’automobile. Sono tutte abitudini nuove che dovremo prendere.

Anche per le nostre escursioni cerchiamo di scegliere mete abbastanza vicine, oppure se andiamo in qualche posto lontano facciamo in modo che ne valga la pena. Vogliamo fare una serie di escursioni in una località, ci facciamo le vacanze, così si trascorrono dieci giorni, ci si sposta una volta sola e si rimane lì, ma non si usa la macchina tutti i giorni per fare magari cento chilometri, o duecento, o di più. Qualcuno fa viaggi di cinquecento, mille chilometri con la macchina. Cerchiamo di battere di più i nostri territori locali, perché meno macchine usiamo e meno CO2 fossile abbiamo fatto. Ogni tanto potremo anche fare un viaggio più lungo, ma è sempre un discorso di numero. Siamo tanti, se ognuno comincia già a diminuire quello che fa del 10%, del 20%, del 50%, e lo fanno tutti, il risultato è enorme. Se tutti dicono: “Io non comincio, comincia te” e non lo fa nessuno, noi rimaniamo nella situazione attuale. 

Pensate che la quantità di CO2 che abbiamo nell’aria oggi, che è stata ricostruita grazie ai carotaggi dei ghiacciai del Polo Sud e dei resti fossili trovati nelle varie rocce del pianeta, non ha eguali negli ultimi 23 milioni di anni. Quindi quello che abbiamo fatto all’atmosfera è qualcosa di nuovo, non è confrontabile con la nostra storia, una storia scritta sui libri. Non è nemmeno confrontabile con l’esistenza dell’uomo sulla Terra, Homo sapiens c’è da 200.000 anni. Qui parliamo di 23 milioni. L’abbiamo combinata bella, insomma. Questo cambiamento nella composizione dell’atmosfera, avvenuto in soli duecento anni, da quando abbiamo iniziato a bruciare carbone, è qualcosa di storicamente inedito, non l’abbiamo mai vissuto nella nostra esistenza su questo pianeta e quindi il rischio di trovarci con un clima altrettanto inedito è elevatissimo.

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